Søren Kierkegaard
Søren Aabye Kierkegaard è stato un filosofo, teologo e scrittore danese, il cui pensiero è considerato da alcuni studiosi punto di avvio dell'esistenzialismo.
Biografia
Nato il 5 maggio 1813 da Michael Pedersen e dalla sua seconda
moglie Ane Sørensdatter Lund, Kierkegaard visse la quasi totalità della sua
esistenza a Copenhagen, dove nacque e morì.
Fu l'ultimo di sette fratelli, cinque dei quali morirono
prima che lui avesse compiuto i venti anni. La tragedia dei fratelli e
l'educazione ricevuta fecero di Kierkegaard un uomo malinconico e riflessivo.
Educato dal padre anziano con una particolare ossessione per
il peccato, in un'atmosfera di severa religiosità.
Kierkegaard condusse un'esistenza appartata dove la
meditazione e lo studio occupava gran parte del suo tempo.
Viaggiò pochissimo fuori dalla sua Danimarca. Compì solamente
alcuni viaggi a Berlino, uno dei quali per presenziare alle lezioni della nuova
filosofia di Schelling.
Dapprima entusiasta, Kierkegaard si rese conto che quella
nuova filosofia era fine a sé stessa, interruppe quindi la frequenza delle
lezioni e se ne tornò a Copenaghen.
La sua filosofia prese corpo da un doppio rifiuto, ossia il
rifiuto della filosofia hegeliana e l'allontanamento dal vuoto formalismo della
Chiesa danese.
Quanto alla polemica che egli condusse contro il conformismo
religioso, Kierkegaard accusava la Chiesa danese, di essere mondana e di aver
tradito gli insegnamenti originari di Gesù Cristo.
Nell'ottobre del 1855 gli fu diagnosticata una grave lesione
spinale e un'emorragia cerebrale. Kierkegaard morì in ospedale l'11 novembre.
Elementi chiave della vita
La biografia del filosofo è essenziale per poter cogliere la
sua elaborazione teorica.
· In primo luogo, la figura del padre
fu centrale nella sua formazione: verrà, infatti, da questi educato ad una
rigida osservanza religiosa -> Il luteranesimo a cui il genitore lo aveva
introdotto, ed in particolare un marcato senso del “peccato”, spinsero il
giovane Kierkegaard ad iscriversi alla facoltà di teologia per diventare
pastore. Ma il filosofo non decise mai di intraprendere tale professione.
· Tema della "scelta" → il
filosofo sceglie di porre Dio al di sopra di ogni altra cosa -> suo
Cristianesimo non è quello della Chiesa Ufficiale, accusata di essere troppo
compromessa con affari mondani e di trascurare affari spirituali e interiori ->
uomini di chiesa: criticati per aver ridotto il messaggio di Cristo a una mera
dottrina, tralasciandone la parte più importante -> imitazione di Cristo:
vita all'insegna dell'abnegazione, ascesi e sacrificio.
La vita di Kierkegaard appare segnata da una “paralisi”, una
incapacità di decidere tra le alternative che si presentarono nella sua vita,
una indecisione perenne che lo portarono ad identificare sé stesso come un
“contemplativo” che osservava con distacco la vita (sua e degli altri) più che
viverla scegliendo.
È lo stesso filosofo, nel suo Diario, a restituirci gli stati
d’animo, enormemente ingigantiti, che accompagnavano ogni possibile scelta da
compiere.
Kierkegaard pone l'uomo di fronte alla drammaticità
dell'esistere, che risiede proprio nell'evitabilità della decisione tra termini
assolutamente contraddittori e inconciliabili -> il valore dell'uomo risiede
nella capacità di assumersi la responsabilità della propria vita.
La polemica contro Hegel
Oltre alla già richiamata polemica contro la chiesa luterana,
colpevole di aver trascurato il messaggio rivoluzionario del Vangelo e di aver
trasformato la religione in una serie di massime razionalmente condivisibili e,
quindi, in una sorta di buon senso comune, l'altro fronte su cui si esercita la
polemica di Kierkegaard è Hegel.
Riconosciuto, insieme a Schopenhauer e a Nietzsche, come uno
dei grandi contestatori del pensiero sistematico tematizzato da Hegel,
Kierkegaard afferma la soggettività della verità (una valenza esistenziale del
vero) mentre la riflessione oggettiva di Hegel rende il soggetto un che di
accidentale, facendolo quasi sparire in favore del pensiero astratto, la vera
filosofia dovere la capacità di illuminare l'esistenza.
Kierkegaard affermava dunque che non esiste la verità
oggettiva ma la verità del singolo -> la verità è soggettiva in quanto è
legata all'esperienza del singolo individuo.
La verità dona all'uomo la consapevolezza della propria
condizione esistenziale.
Il pensiero soggettivo di Kierkegaard è il pensiero del
concreto esistente, che nulla ha a che vedere con la ragione trascendentale
kantiana o con la ragione astratta hegeliana; un pensiero che è infinitamente
più interessato all’esistenza stessa, con i suoi fatti concreti e la sua
drammaticità che neanche la Cristianità stabilita è in grado di cogliere.
Il suo pensiero
La filosofia di Kierkegaard è un’esaltazione religiosa, in
quanto afferma la validità della religione nell’esistenza umana.
La religione è per il filosofo l’unica via di salvezza,
l’unico modo di sottrarsi ad una condizione esistenziale caratterizzata dalla
possibilità di angoscia e disperazione.
Scegliere per Kierkegaard significa esistere-> L’individuo
non è ciò che è, ma è ciò che sceglie di essere.
Se l’uomo rinuncia a scegliere egli rinuncia a farsi valere
come io e la sua personalità appassisce.
L’incertezza determina sentimenti di angoscia che soltanto il
cristianesimo e l’aiuto soprannaturale della fede può aiutare a superare.
AUT AUT e gli stadi dell'esistenza
Per Kierkegaard l'esistenza si configura come una dimensione
profondamente problematica, priva di certezze, attraversata dal dubbio e
dall'inquietudine.
AUT-AUT (o-o) -> la scelta che, nella sua drammaticità, deve essere
continuamente affrontata da ogni individuo che, a fronte della sua libertà
personale, non può delegarla o demandarla ad altri.
↪ Kierkegaard difende la possibilità
di scelte libere tra alternative inconciliabili.
Questa scelta personale diviene necessaria per affrontare gli
stadi dell’esistenza e per passare, in modo libero e volontario, da uno
all’altro di essi.
1. STADIO ESTETICO
Lo stadio estetico dove l'uomo vive nell'istante e nella
ricerca continua del piacere -> gli uomini vivono assaporando fino in fondo
le bellezze e le attrattive dell'esistenza e rifiutano tutto ciò che è
impegnativo, ripetitivo, serio.
Questo tipo di esistenza è insufficiente, perché chi si
dedica al piacere disperde la propria personalità in tutte le esperienze che
gli si presentano, gli si svuota l'essere, cadendo inevitabilmente nella noia e
disperazione.
2. STADIO ETICO
Lo stadio etico, dominato dalla scelta e dalla
responsabilità, è rappresentato dalla figura del marito -> la famiglia
esprime l'ideale del dovere morale nel senso più elevato e l'amore assume
spessore e profondità, non un sentimento estremo e intenso come nella vita
estetica.
La donna è l'emblema della concretezza, dell'amabilità e
della felicità stabile e durevole, mentre il lavoro è il "dovere"
comune a tutti i membri della società.
Il soggetto sottomette la propria individualità alle regole
della famiglia e della società.
↪ L’individuo, minacciato dal
conformismo, non sviluppa alcun tipo di personalità nell’adottare determinati
modelli di comportamento, ciò porta alla noia e all’insoddisfazione e quindi
anche questo modello è destinato a fallire.
3. STADIO RELIGIOSO
Lo stadio religioso trova la propria rappresentazione più
pregnante nella figura di Abramo, disposto a sacrificare il figlio Isacco.
In questo stadio l’uomo affronta il proprio io e gli aspetti
di esso (l’angoscia e la disperazione) che finora non era stato in grado di
capire e risolvere.
La vita religiosa implica il "salto"
dall'etica alla fede.
In Timore e Tremore, un'opera incentrata sulla figura di
Abramo, Kierkegaard descrive la portata sconvolgente di questo passaggio. Il
patriarca biblico accetta di sacrificare Isacco, il suo unico figlio, perché
Dio glielo ha comandato.
Ecco il paradosso della fede: Abramo in qualità di padre, era
tenuto a salvaguardare la vita del figlio; questo gli dettava la norma morale.
La fede però gli comanda l'opposto di quanto è ragionevole dal punto di vista
degli uomini e delle leggi.
↪ La fede non ammette alcuna
giustificazione razionale, non concede pace all'uomo ma crea inquietudine in
lui.
La vita religiosa segna il culmine dell'esistenza umana
che, per Kierkegaard, è fondata sulla scelta.
L’uomo è posto davanti ad un bivio: credere o non
credere. Da un lato è lui che deve
scegliere dall’altro non può perché Dio è tutto e da lui dipende anche la fede.
Quindi nella vita religiosa c’è una profonda contraddizione
uguale a quella dell’esistenza umana.
Perciò il cristianesimo esprime la sostanza stessa
dell’esistenza. Infatti, paradosso, scandalo, dubbio, angoscia, impossibilità
di decidere, sono le caratteristiche del cristianesimo e dell’esistenza
Il filosofo afferma che l'uomo è ex-sistenza
(ex-sistere = "stare fuori") -> può trascendere la propria
condizione e proiettarsi nel futuro, dunque è progettualità e possibilità. Pertanto,
prova angoscia, intesa come puro sentimento della possibilità e prova
disperazione, intesa come lacerazione tra finito e infinito -> l'unico
rimedio alla disperazione è la fede
L'angoscia e la disperazione
L'uomo, difronte alla scelta, prova un inevitabile sentimento
di angoscia, cioè di vertigine, di timore indefinito di sbagliare, di scegliere
il male, in quanto è consapevole che nella scelta è messa in gioco la sua
stessa vita.
In “Aut-aut” Kierkegaard considera l’angoscia
come un sentimento strutturale in ogni essere umano dal momento che il suo modo
di conoscere è essenzialmente sospeso nei confronti del futuro.
All’angoscia sono strettamente collegate le dimensioni della
possibilità e del peccato, dal momento che l’angoscia si riferisce sia a ciò
che potrebbe accadere in futuro fuori di noi, sia a ciò che noi stessi potremmo
fare in futuro.
Solo attraverso il Cristianesimo l’uomo riesce a guardare
alla verità di sé stesso in tutta la sua complessità.
L'altro sentimento fondamentale che caratterizza l'esistenza
umana è la disperazione, che riguarda anch'essa la possibilità,
ma non in quanto riferita al mondo, come nel caso dell'angoscia, bensì all'essere
stesso del soggetto.
Quest'ultimo è infatti lacerato da una contraddizione
interna: da un lato vuole il proprio essere, ma si scontra inevitabilmente con
i propri limiti e la propria finitezza; dall'altro vuole disfarsi di sé per
aspirare a un io migliore, ma ciò si rivela impossibile.
In entrambi i casi la possibilità si rivela come
impossibilità
La disperazione che ne deriva è la malattia mortale
dell'uomo che, in ogni caso, non riesce e non può conciliarsi con sé stesso e
trovare pace -> essa è dettata dalla necessità e impossibilità della scelta.
La fede
L'unica via di uscita dalla disperazione è la fede: in essa
l'uomo, consegnandosi a Dio, trova quella conciliazione con se stesso che non
era possibile negli altri stadi dell'esistenza.
Ma la fede non è rassicurante, è paradosso e scandalo, e la
figura che meglio rappresenta questo carattere è Cristo, il Dio fatto in uomo,
un mistero irriducibile alla ragione umana.
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